Dici McLaren e pensi alla storia della Formula 1, anzi alla Storia, quella con la S maiuscola, quella fatta di uomini, di odore di olio e benzina, di glamour e di ragazze da copertina, ma anche di piloti stravolti e quasi sfigurati dopo i Gran Premi, con i segni degli occhiali a delimitare la parte pulita da quella nera come il carbone.
E c’è anche la storia di un uomo che arriva dal luogo più lontano che si possa immaginare, la Nuova Zelanda, per scrivere pagine che restano memorabili. Bruce McLaren, che passa le ore nell’officina della stazione di servizio del padre, decide di diventare pilota e lo diventa davvero, arrivando in Europa grazie ad un altro Dio della Formula 1: Jack Brabahm. Nel 1959, con la scuderia Cooper, a 22 anni diventa il più giovane pilota ad aver vinto un GP. Ma non può bastare e nel 1963 fonda la Bruce McLaren Motor Racing Ltd. Quando fa la sua prima apparizione in F1 nel 1966 è uno dei tanti team che girano attorno alla circus iridato, e Bruce sicuramente non può sapere di avere dato vita a quella che sarà una delle scuderie più longeve di sempre, dietro solo a Ferrari.
Ed anche senza Bruce, scomparso in gara a Goodwood nel 1970, la McLaren mieterà vittorie negli anni successivi. L’elenco dei campioni del mondo è impressionante: Senna, Prost, Hakkinen, Hunt, Lauda e Fittipaldi. Si sa che gli italiani nascono ferraristi, e allora tanto di cappello al binomio Senna McLaren che ha fatto vacillare i cuori di molti di noi. Si, perché se alla fine abbiamo un’ammirazione sconfinata per il motorsport britannico, McLaren rappresenta quanto di più vicino a ciò che conosciamo. E’ la storia di un uomo, di un team, e di una marca di auto super sportive. Vi dice qualcosa vero?
Com’è la McLaren Artura da vicino
Sono questi i pensieri che mi frullano in mente quando rivedo la McLaren Artura dal vivo. L’avevo conosciuta al MiMo 2021, ma questa volta sono dovuto arrivare fino in California, nella Sonoma Valley, ad un paio d’ore di auto da San Francisco.
McLaren Artura è una supercar ibrida plug-in, certificata da una linea bassa e filante. Ma soprattutto la Artura è una McLaren, che mantiene la propria identità in un mondo di copie e di cloni. La riconosci al primo sguardo nonostante una serie di soluzioni stilistiche innovative. Non si tratta solo dei fari, quasi una firma, ma di tanti piccoli particolari che sono stati cuciti in un vestito armonico e ben proporzionato.
C’è un muso pronunciato e allungato, che si protende verso il basso, conferendo quell’aria di determinazione che piace sempre. Il tetto è realizzato in un unico componente di alluminio che si estende senza interruzioni, includendo anche i montanti anteriori. Un approccio coraggioso, che evidenzia il principio di purezza formale che caratterizza la vettura così come la filosofia di ingegneria leggera, che è da sempre un elemento fondamentale nel DNA di McLaren, ora al centro delle scelte di design.
Al posteriore, troviamo una fanaleria a LED lunga e sottile, che non cerca l’effetto wow quanto piuttosto eleganza e modernità. I due tubi di scarico posizionati al centro ma rialzati, raccontano molto di più di quanto si possa immaginare, mentre i deflettori in carbonio contribuiscono a migliorare l’aerodinamica complessiva.
Il motore V6 biturbo ed il motore elettrico Axial Flux
Il powertrain della Artura combina un motore V6 biturbo da 3.0 litri, che eroga 585 CV, con un motore elettrico da 95 CV, per una potenza totale di 680 CV. Rispetto al precedente V8, il motore V6 è caratterizzato da dimensioni più compatte e da un peso ridotto di 50 kg, con una riduzione di ben 19 cm in termini di lunghezza. Questa combinazione di potenza e leggerezza si traduce in prestazioni eccezionali, superando persino modelli come l’Elva e la Senna, tanto che la potenza specifica di Artura raggiunge i 487 CV per tonnellata.
I due turbocompressori del motore V6 sono posizionati più in basso rispetto a quelli montati sul V8 della 720S. Questa disposizione consente di liberare maggior spazio per il raffreddamento, garantendo prestazioni ottimali. Inoltre, l’impianto di scarico è stato progettato in modo da essere il più possibile “dritto”, riducendo al minimo le perdite di potenza e mantenendo un suono caratteristico.
Un’altra caratteristica distintiva di Artura è il design del motore elettrico, noto come Axial Flux. Per dare l’idea, questo motore ha dimensioni simili a quelle di un disco freno di McLaren, pesa solo 15,4 kg, ma è in grado di generare fino a 95 CV e 225 Nm, consentendo di percorrere fino a 30 chilometri in modalità completamente elettrica, in un silenzio quasi assoluto.
Il pacco batterie agli ioni di litio da 7,4 kWh è completamente integrato nel telaio McLaren Lightweight Architecture (MCLA) di Artura. Posizionato nella parte più bassa dell’auto, dietro il guidatore, è incorporato nel pavimento e protetto su tre lati dalla struttura principale in fibra di carbonio, mentre nella parte posteriore è protetto dal motore. Questa posizione ottimizza il centro di gravità e il momento d’inerzia polare, migliorando l’agilità dinamica del veicolo.
C’è anche da aggiungere che la gestione della batteria è progettata in modo da non esaurire mai completamente la carica. Anche durante periodi di sosta prolungata, viene mantenuta una piccola riserva di energia per invertire o avviare il motore, garantendo sempre la disponibilità della vettura in caso di necessità. Un approccio che garantisce una maggiore affidabilità e un’esperienza di guida senza interruzioni. Non ultimo, la ricarica della batteria da zero all’80% richiede 2,5 ore, consentendo di godere rapidamente delle prestazioni elettriche della vettura.
Sulle strade della California
Già, abbiamo detto prestazioni, ma come va? Quando salgo a bordo ho la prima sorpresa. Nonostante le porte ad apertura verticale che incutono un po’ di timore, per raggiungere il sedile non è necessaria una manovra da contorsionisti. Certo, non è un SUV, ed al contrario dei pick-up sui quali è necessario appendersi per salire, qui bisogna entrare bassi, ma neanche tanto.
I sedili sono comodi, il display con le funzioni digitali del cruscotto è chiaro ed immediato. Ci sarebbe qualcosa da dire sul secondo display, quello dell’infotainment. Anche qui la mania del finto tablet ha colpito, tra l’altro con materiali plastici sotto tono, ed è un peccato, perché l’Artura, per dirla alla Chef Francesco Panella meritava “di più, molto di più”.
Una volta sistemato nella “mia” Artura, rifletto sulla bellezza della California, dove le mattine sono fresche, i giorni sono caldi, il cielo si tinge di azzurro e le foglie non cadono mai. Mentre le note dei Mamas and Papas risuonano nella mia mente, ricordo le promesse cantate insieme ai Dik Dik “e un giorno io verrò”. Ora, con l’Artura pronta a spingere, sono pieno di entusiasmo, desideroso di assaporare ogni istante della guida su queste strade e su questa supercar.
Quando faccio i primi metri, pardon le prime yards, i 680 CV sembrano magicamente spariti. Cosa succede? L’Artura è docile docile, muovendosi in elettrico nel traffico mattutino. Non mi invita a correre, mi accompagna in giro. Non è nervosa, è facile da guidare come una citycar.
Come se volesse non dare troppo nell’occhio, passa silenziosa accanto alle altre auto, provando reazioni di sorpresa. Il bello di questa zona, è che pare che tutti amino le auto, e quando mi vedono scatta il pollice alzato o l’applauso. Un inizio di giornata con il sorriso.
Proseguo nel mio percorso, lanciando il motore termico che si fa invece sentire con il suo suono sportivo. La sensazione è quella di un cambio di pelle, appunto, perché mi sembra di guidare un’altra auto. Forse è il suono, forse è l’abitudine ai motori tradizionali, ma nelle miglia successive è come se avessimo imparato a conoscerci a vicenda. Cambio le modalità del motore, cambio l’assetto delle sospensioni. Tutto facile, tutto immediato. Non serve essere ingegneri ma neanche esperti piloti.
Guido sulle strade tra Healdsburg e il lago Barryessa in un paesaggio da cartolina, con colline, vigneti, campi coltivati, ville e villone. Il percorso prevede curve e controcurve, dove finalmente posso mettere alla prova l’Artura, ovviamente rispettando scrupolosamente i limiti. E’ qui che posso apprezzare quello che chiamiamo il piacere di guida. Uno sterzo “comunicativo” che legge la strada, una maneggevolezza incredibile e un motore dalla potenza sconfinata. Ogni volta che trovo un tratto non rettilineo è come una festa. Le curve a gomito sono pura felicità.
Vedo all’orizzonte l’acqua azzurra del lago, in contrasto con il paesaggio circostante quasi arido, nonostante le alluvioni di qualche mese fa. Mi fermo per un istante, ma non riesco, perché il richiamo dell’Artura è più forte. Mi rimetto al volante e proseguo, allungando il mio percorso, cercando di fare più miglia possibile nel tempo che ho a disposizione.
E’ dopo un paio di ore di viaggio che mi rendo conto che la Artura è qualcosa in più di una “semplice” supercar. E’ un’auto comoda, come mai mi era capitato di trovare in una supercar. E se mi avessero detto di partire subito dalla California in direzione New York, sarei stata la persona più felice del mondo. Perché l’Artura non è un’auto scorbutica o faticosa, di quelle che devi sempre fare attenzione, perché ti spinge in ogni momento ad “azzannare” la strada. Ma sa mordere, eccome, quando è necessario.
Può essere l’auto di tutti i giorni, per chi può permetterselo, ovviamente. Può essere una eccellente chilometrista, a patto di essere al massimo in due e non avere troppi bagagli. Ma può essere anche la supercar appagante che ti aspetti fin dal primo momento, da provare anche in pista.
E mentre arrivo a destinazione e quindi alla conclusione del test drive, mi ritrovo a pensare che la definizione giusta potrebbe essere quella di “gentlemen” supercar. L’auto dalle prestazioni generose, ma per chi non deve apparire sempre e comunque, e per chi ama invece quel misterioso ingrediente che rende così affascinanti le auto britanniche.
In Italia il prezzo della Artura parte da 238.757 euro, tutte le informazioni su colori, equipaggiamenti ed optional e sul sito ufficiale McLaren.
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