Il mondo dei trasporti via mare si prepara a un cambio di rotta. A partire dal 2028, tutte le navi in attività dovranno utilizzare un mix di carburanti a bassa intensità di carbonio o, in alternativa, pagare una tassa sulle emissioni in eccesso.
La misura è stata approvata durante l’ultima riunione del Comitato per la protezione dell’ambiente marino (MEPC 83) dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO), agenzia delle Nazioni Unite che regola la navigazione globale.
Il nuovo sistema prevede che le navi paghino 380 dollari per tonnellata di CO₂ per le emissioni più impattanti e 100 dollari per tonnellata per quelle residue che superano una soglia predefinita.
Il meccanismo dovrebbe generare tra i 30 e i 40 miliardi di dollari entro il 2030. I fondi saranno destinati a sostenere l’adozione di tecnologie energetiche pulite nel trasporto marittimo, settore che finora ha contribuito in modo significativo alle emissioni globali ma è stato poco regolato sul piano climatico.
Il GNL sarà ammesso, ma penalizzato progressivamente
Nella prima fase, le navi potranno ancora usare gas naturale liquefatto (GNL) fossile, ma con il passare degli anni 2030 questo combustibile sarà progressivamente penalizzato, riducendone la convenienza economica.
Gli armatori sono quindi chiamati a ripensare le strategie di lungo periodo: una nave può restare in servizio anche per 20-30 anni, e una scelta sbagliata oggi potrebbe diventare un peso domani, anche sul piano economico.
Un voto diviso tra favorevoli, contrari e astenuti
Il compromesso è stato approvato da 63 paesi, tra cui Unione Europea, Brasile, Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Sudafrica, Singapore e Norvegia.
Sedici paesi si sono opposti, in gran parte Stati produttori di petrolio come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, Venezuela e Russia. Venticinque paesi si sono astenuti, tra cui molte nazioni insulari del Pacifico.
A nome delle isole del Pacifico, Tuvalu ha espresso in plenaria le proprie preoccupazioni, chiedendo maggiore trasparenza nei negoziati e la promozione di una transizione energetica equa, con incentivi concreti per i paesi più esposti agli effetti del cambiamento climatico.
Le critiche hanno riguardato anche l’esclusione delle voci del Pacifico dai processi decisionali, nonostante la loro posizione di vulnerabilità ambientale e geopolitica.