Con l’insediamento di Donald Trump, la politica ambientale statunitense subisce un radicale cambio di rotta. In un colpo solo, il nuovo presidente cancella il Green Deal e archivia il mandato federale sulle auto elettriche, garantendo agli americani la libertà di guidare ciò che vogliono.
Una scelta che, dietro la facciata della propaganda interna, nasconde implicazioni economiche e geopolitiche profonde: i produttori cinesi vedono sfumare l’accesso al mercato americano a prescindere dai dazi di Biden, Tesla di Elon Musk continua a guadagnare miliardi con i crediti CO2, mentre le case automobilistiche europee rischiano di rimanere stritolate in una morsa sempre più stringente.
Una mossa che rimescola le carte
La decisione di Trump di smantellare le regolamentazioni ambientali rappresenta una manna per l’industria petrolifera e per i produttori di auto tradizionali statunitensi, ma è anche un segnale forte contro i piani di espansione dei concorrenti cinesi.
Aziende come BYD, Nio e Geely, leader globali nella produzione di auto elettriche, sognavano comunque di conquistare il mercato americano. Anche perchè, va detto, sia GM sia Ford, le uniche due case al 100% USA, sono indietro anni luce sull’elettrico. E Ford ha dovuto stringere un accordo con Volkswagen per poter usare la piattaforma elettrica, con scarsi risultati commerciali.
In tutto questo i cinesi si trovano di fronte a un mercato USA che privilegia combustibili fossili e libertà di scelta, spingendole a concentrare i propri sforzi altrove, ovvero Asia, Europa e Sud America.
Nonostante questo, la decisione non tocca minimamente Elon Musk, il cui impero Tesla è ben radicato e altamente adattabile. L’abolizione del Green Deal, infatti, non riduce la sua capacità di dominare il mercato statunitense e mondiale, né di accumulare profitti grazie alla vendita di crediti CO2 ad altre aziende. Musk, in breve, continuerà a giocare su più fronti, sfruttando ogni vantaggio competitivo.
L’Europa: il grande perdente
In questo scenario, il vero sconfitto sembra essere il vecchio continente. Le case automobilistiche europee, dopo aver investito miliardi per adeguarsi alle normative green della Commissione Europea, rischiano di trovarsi come vaso di coccio tra vasi di ferro.
Da una parte, la scelta USA di abbandonare le restrizioni ambientali chiude loro le porte di un mercato che preferisce veicoli tradizionali. Dall’altra, la Cina consolida la propria leadership tecnologica con una gamma di auto elettriche più avanzate, soffocando la concorrenza europea nel mercato domestico, come dimostrato dal crollo di vendite delle case tedesche.
Le politiche europee, caratterizzate da una miopia che privilegia multe e obblighi senza una chiara strategia industriale, rischiano di aggravare ulteriormente la situazione. Paesi della UE che non hanno una industria automobilistica locale, impegnati a imporre obiettivi ambientali stringenti, sembrano aver trascurato la competitività globale delle aziende europee, creando un contesto in cui il peso della transizione ricade interamente sui produttori.
Il ruolo della neutralità tecnologica
Le contraddizioni europee sollevano una domanda cruciale: l’imposizione di un modello unico è davvero la soluzione? La neutralità tecnologica, che permetterebbe lo sviluppo di soluzioni diversificate, potrebbe rappresentare una via d’uscita per le case automobilistiche.
Investire in tecnologie come i carburanti sintetici, l’idrogeno o i sistemi ibridi potrebbe ridare respiro all’industria, evitando il rischio di un collasso competitivo nel 2035, quando l’obbligo di auto elettriche diventerà realtà.
Il futuro dell’industria europea è fosco
Se l’Europa non adotterà una visione più strategica e flessibile, il rischio è che le industrie automobilistiche si trovino schiacciate tra l’egemonia cinese e la libertà di mercato americana. Mentre Trump difende il petrolio e la libertà individuale e la Cina avanza con le proprie tecnologie, gli euroburocrati come la von der Leyen, l’olandese Hoekstra e la spagnola Ribera, non vogliono sentire ragioni e insistono nel voler proseguire dritti nel baratro.
Quando gli appelli di De Meo e di Källenius, cadono nel vuoto più totale la vera domanda non è più se sia possibile raggiungere gli obiettivi climatici, ma se l’Europa possa farlo senza sacrificare il proprio futuro industriale. Il Green Deal, così com’è stato concepito, potrebbe trasformarsi nel più grande boomerang economico della storia europea.