Tesla sta chiedendo la restituzione delle sovvenzioni statali ad alcuni clienti aziendali in Cina, le cui auto non sono riuscite a raggiungere 20.000 km in 2 anni. La causa è da ricercare nel sistema con il quale il governo cinese eroga gli incentivi per le auto elettriche.
Già nel 2010 la Cina ha lanciato un programma pilota per fornire incentivi governativi agli acquirenti di auto elettriche. Come sempre quando si parla di Cina, gli obiettivi erano numericamente ambiziosi. Nel 2012 ha alzato l’asticella a 5 milioni di auto dal 2012 al 2020 e, grazie ai sussidi, il volume delle vendite è aumentato drasticamente.
Dato che tutto il mondo è paese, qualche costruttore ha iniziato a mettere in campo qualche trucco per poter comunque rientrare gli incentivi. Si è parlato di auto con batterie di piccolo taglio, immatricolazioni illegali o auto-immatricolazioni piuttosto che clienti fantasma.
Per prevenire ulteriori frodi, nel 2016 il governo ha modificato la politica stabilendo che le auto acquistate dai clienti aziendali dovevano portare ad un chilometraggio di 30.000 km in due anni, poi ridotti a 20.000. Questa soglia è stata fissata per evitare di sovvenzionare veicoli non pienamente funzionanti, oppure micro car.
Ecco allora la richiesta di Tesla di effettuare rimborsi a proprio favore, nei cofronti di chi non è riuscito a coprire i 20.000 km in due anni. Poiché queste auto non soddisfano i requisiti governativi, Tesla non può chiedere l’intero incentivo. Come risulta dalle lettere di notifica, si tratta di specifiche contrattuali che erano in evidenza nel momento dell’acquisto e quindi non contestabili.
Secondo i media cinesi, anche Asiastar Bus, Ankai Automobile ed altre aziende hanno richiesto il rimborso ai clienti, mentre NIO, XPeng e BYD non si sono ancora mosse in tal senso.
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