I media mainstream glorificavano l’elettrico quando la situazione presentava molti punti oscuri, ora che c’è da difenderlo lo criticano.
E’ sempre interessante leggere di difese corporative ma soprattutto osservare le lacrime di coccodrillo di chi aveva la possibilità di vedere lontano, ed invece non ha mai guardato al di là del proprio naso. Così, anni fa ci interrogavamo in solitaria sulle scelte discutibili dell’UE, sperando di vedere qualcun altro su posizioni simili. E invece no, sui media mainstream la parola d’ordine era “boom dell’elettrico”, quando si passava dallo 0,1 allo 0,5 % del mercato.
Alcuni Paesi avevano già deciso per tutti e, va detto, con il bene placido di alcuni costruttori europei. La data del 2035 è ormai scolpita nella pietra, e volenti o nolenti tutti devono farci i conti. Gli italiani? Come al solito hanno cercato di chiudere la stalla quando i buoi erano scappati, ma tant’è.
La competizione è sempre positiva, anche quando arriva dall’oriente
Il dato di fatto è che oggi l’industria automobilistica europea sta affrontando una sfida cruciale nel percorso verso la sostenibilità, mostrando una resilienza e un’innovazione che non si era mai vista negli ultimi 50 anni. Contrariamente a quanto sostenuto da alcune voci critiche, l’adattamento e l’evoluzione dell’industria automobilistica devono rappresentare non solo una necessità ma anche un’opportunità straordinaria per rafforzarsi sul mercato globale.
L’approccio europeo alla transizione verso veicoli più ecologici, non può essere visto come un dato negativo, quando invece è un cambio di rotta nella lotta contro il cambiamento climatico. Una delle questioni che le case automobilistiche si trovano ad affrontare è la competizione nel mercato. E’ successo negli anni ’60 e ’70 nel mondo delle due ruote quando arrivarono i giapponesi. In tanti non ce la fecero, ma a nessuno verrebbe in mente di mettere dazi su moto Honda, Yamaha, Suzuki o Kawasaki. Troppo facile imporsi come i padroni del mondo quando le cose vanno bene, e trincerarsi dietro a “bagni di sangue” come descritto da Carlos Tavares. La competizione, da sempre, è un catalizzatore per l’innovazione e deve spingere a fare meglio.
Cambiamenti rapidi e risposte in tempi biblici
Non c’è solo la Cina. Ci sono metodologie di aggressione al mercato che arrivano dal mondo tecnologico. “Move fast and break things“, ovvero “muoversi in fretta e spaccare tutto” è stato il mantra dei fondatori di Google, Facebook, Amazon e via dicendo. Così quando si sono trovate ad affrontare Elon Musk, le case automobilistiche, che da sempre si sono mosse in maniera elefantiaca, si sono trovate spiazzate. Può essere un personaggio discutibile per molti versi, ma non si può dire che non sia riuscito a mettere in scacco tutti sull’elettrico.
Non solo: Tesla ha ridotto i prezzi, stimolando l’intero settore a migliorare l’efficienza, a ridurre i costi e ad ampliare l’offerta. Una dinamica di mercato che sta spingendo alcune case a cambiare pelle ed investire in ricerca e sviluppo, accelerando il progresso tecnologico.
Una delle prime conseguenze è la decisione di alcune aziende di rivedere le loro strategie commerciali, come nel caso della Mercedes. Rinunciare alla figura del concessionario non deve essere interpretata necessariamente come un segno di crisi, ma come un adattamento strategico ai cambiamenti del mercato. Sono mosse dolorose, certo, ma che dimostrano la capacità da parte di qualcuno di andare oltre agli schemi tradizionali per posizionarsi in un modo diverso nel nuovo panorama automobilistico.
Le preoccupazioni relative alla redditività nel breve termine, tipicamente occidentali, sono comprensibili ma non tengono conto della visione a lungo termine dell’industria. La transizione verso l’elettrico apre a nuovi modelli di business, come evidenziato dall’ecosistema che ruota attorno a questi veicoli. Questi modelli non si basano solo sulla vendita della vettura, ma sull’offerta di servizi aggiuntivi, dalla ricarica alla manutenzione, che possono generare nuove fonti di reddito. Chi si ferma alla produzione e vendita di veicoli, modello che ha funzionato nello scorso millennio, dimostra una visione miope della situazione attuale.
La diversificazione dell’offerta di propulsione, compresi idrogeno e biocarburanti, denota anche come le case automobilistiche stiano giustamente diversificando gli investimenti. Questa apertura verso diverse tecnologie sostenibili è una mossa strategica che allinea anche l’industria automobilistica con gli obiettivi di lungo termine della sostenibilità ambientale.
Gli strenui difensori di chi piange sul latte versato
E’ vero, l’industria automobilistica europea sta navigando nelle acque insidiose della transizione ecologica. Ma proprio oggi che nuovi concorrenti si pongono come protagonisti, c’è solo da guardarsi indietro e osservare gli errori fatti.
E’ pittoresco osservare quelli che oggi corrono in aiuto di chi ha completamente snobbato i concorrenti. Fino a poco tempo fa Tesla era un fenomeno passeggero ed Elon Musk un personaggio folkloristico, catapultato nel modo automotive. La Cina era solo una terra di conquista, ed era assolutamente necessario impiantare fabbriche per fornire auto occidentali ai cinesi, perchè mai sarebbero riusciti a produrle da soli.
Ecco, adesso che l‘auto più venduta nel mondo è una Tesla, e che grazie alle conoscenze regalate dagli occidentali i cinesi sono in grado di produrre veicoli sempre più appetibili, vengono chiesti dazi e si parla di invasione, dimenticando che sono le case europee a costruire automobili in Cina per venderle in Europa a prezzi europei. E subito tutti a dare ragione, perchè evidentemente l’invasione piace quando viene messa in atto nei confronti di altri, mentre è inconcepibile quando la si subisce.
Il quadro è sempre stato chiaro fin dall’inizio, ma solo oggi i soliti noti hanno deciso di farsi paladini e strenui difensori dell’endotermico.
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