L’industria automobilistica tedesca, da sempre simbolo di ingegneria e qualità, sta vivendo una fase di trasformazione profonda e incerta, con conseguenze negative per i fornitori e i lavoratori del settore.
ZF licenzia e Recaro in amministrazione controllata
Uno degli esempi più lampanti di questa crisi è rappresentato da ZF Friedrichshafen, storico produttore di trasmissioni, che sta lottando contro debiti elevati e un drastico calo dei profitti. Achim Dietrich, capo del comitato aziendale di ZF, ha delineato un futuro particolarmente pesante per l’azienda, annunciando piani per almeno 9.000 licenziamenti in Germania.
Questo nonostante la forza lavoro globale dell’azienda sia aumentata da 157.549 nel 2021 a 164.869 nel 2022, segno di un’espansione che, come racconta Die Welt, non riesce a contrastare le difficoltà finanziarie.
La situazione di ZF non è un caso isolato. Anche Recaro, nome storico per i sedili sportivi, ha dichiarato di essere entrata in amministrazione controllata, con l’avvocato Holger Blümle incaricato di gestire l’azienda. Questa crisi ha colpito duramente i 215 dipendenti della sede di Kirchheim unter Teck, i quali si sentono traditi dalla dirigenza dopo aver accettato tagli e ritardi negli stipendi nella speranza e, come raccontato da Bild Auto.
Tra le aziende che incominciano ad avere problemi ci sono anche colossi come Bosch e Continental. Non solo, perchè nella lista ci sono anche fornitori come Mahle, Schaeffler, Vitesco, Brose ed Eberspächer.
Tutta colpa dell’elettrico
Sembra proprio che la transizione verso l’elettrico non governata in maniera puntuale abbia portato a numerosi tagli di posti di lavoro. Un sondaggio della società di consulenza Horváth rivela che il 59% dei manager del settore prevede una riduzione del personale in Germania nei prossimi cinque anni, con il 14% che prevede una riduzione importante.
Le difficoltà non si limitano alla Germania. La produzione automobilistica si sta spostando verso regioni come India, Cina, Europa dell’Est e America, dove i costi sono inferiori. Una delocalizzazione che abbiamo conosciuto in Italia negli ultimi vent’anni, e per la quale i tedeschi si sentivano in qualche modo “immuni”.
Non solo, perchè la concorrenza cinese e la transizione verso la mobilità elettrica stanno accelerando il cambiamento. Le aziende che si concentrano sull’elettrico stanno aumentando la domanda di manodopera, mentre quelle che si affidano ai motori a combustione stanno perdendo posti di lavoro. Tuttavia, nonostante gli sforzi per la neutralità climatica e la digitalizzazione, il saldo finale tra i posti di lavoro persi e quelli creati rimane negativo.
La miopia della EU
La transizione verso l’elettrico avrebbe dovuto essere pianificata e organizzata con maggiore attenzione. La mancanza di una strategia chiara ha esposto l’industria automobilistica a difficoltà dal punto di vista finanziario che occupazionale.
I ritardi nella preparazione delle infrastrutture necessarie, l’insufficiente supporto ai fornitori tradizionali per adeguarsi ai nuovi standard e una comunicazione inadeguata tra i vari attori del settore hanno creato un contesto di incertezza e instabilità. Questa fase di transizione, gestita in modo più lungimirante, vedi ad esempio la nostra “battaglia” per il battery swapping, avrebbe potuto mitigare le ripercussioni negative sui lavoratori e sostenere meglio l’evoluzione tecnologica europea.