Dal 1989 Daihatsu truccava i dati sulla sicurezza delle automobili, comprese quelle a marchio Toyota. Uno scandalo di proporzioni bibliche che coinvolge anche Mazda e Subaru.
Avete presente la stima che abbiamo dei giapponesi? Ebbene, è andata completamente in frantumi dopo l’uscita della notizia che Daihatsu, marchio di proprietà Toyota, trucca i crash test da 30 anni a questa parte.
Uno scandalo di proporzioni epiche, pari quasi al dieselgate di Volkswagen, che sta creando problemi in patria e fuori. Tant’è che la casa automobilista ha completamente interrotto ogni attività produttiva in tutti e quattro i suoi stabilimenti in Giappone, compreso quello nella sede centrale di Osaka. Non si tratta di una cosa da poco, dato che la sospensione sarà attiva almeno fino a febbraio, coinvolgendo circa 9.000 dipendenti.
In Daihatsu truccavano i dati anche per Toyota
La scorsa settimana, Daihatsu ha ammesso che un comitato indipendente ha scoperto falsificazioni nei test di sicurezza su fino a 64 modelli di veicoli, inclusi quelli venduti sotto il marchio Toyota ma anche Subaru e Mazda. Andando indietro nel tempo, il caso più vecchio risale al 1989, con un aumento notevole dei casi dal 2014.
Lo scandalo di questi giorni rappresenta quindi solo la punta dell’iceberg di quanto fatto dalla casa giapponese in barba ad ogni regolamentazione di sicurezza. Basti pensare che già ad aprile aveva dovuto ammettere di aver violato gli standard nei crash test su più di 88.000 automobili, in gran parte vendute sotto il marchio Toyota in paesi come Malesia e Thailandia. E’ infatti emerso come Daihatsu non avesse rispettato i requisiti normativi per alcuni test di collisione laterale. A maggio invece erano state ammesse ulteriori irregolarità, rivelando di aver fornito dati errati per i test di collisione su due modelli ibridi.
Come riportato ufficialmente:
Le indagini hanno rilevato 174 nuovi casi di irregolarità in 25 differenti test, oltre a quelli relativi alle anomalie nel rivestimento delle porte di aprile e ai test di collisione laterale a maggio. Le anomalie hanno coinvolto 64 modelli e 3 motori (totale dei modelli in produzione/sviluppo e fuori produzione), inclusi quelli non più in commercio. I modelli interessati comprendevano veicoli del marchio Daihatsu e modelli forniti come OEM a Toyota Motor Corporation (Toyota), Mazda Motor Corporation (Mazda) e Subaru Corporation.
E non finisce qui. Secondo un rapporto pubblicato dall’ente di indagine, sono stati scoperti altri 174 casi di manipolazione dei dati, dichiarazioni false o interventi impropri sui veicoli per superare i test di sicurezza.
Cosa succede ora?
Detto che le indagini proseguiranno, ed ogni modello Daihatsu verrà passato al vaglio di ogni singolo componente, la risposta di Toyota è semplice quanto complicata. Il colosso giapponese ha promesso un rinnovamento radicale di Daihatsu, affermando che è necessaria rivedere le fondamenta del costruttore per cercare di recuperare la situazione.
Riconosciamo la gravità estrema del fatto che la negligenza di Daihatsu nel processo di certificazione ha minato le fondamenta stesse dell’azienda come produttore di automobili.
Un compito estremamente significativo che ovviamente non può essere completato in breve tempo, dato che coinvolge tutti gli aspetti della gestione, delle operazioni e della struttura dell’azienda.
Mentre attendiamo sviluppi, dal canto suo Daihatsu si prostra in stile giapponese, scusandosi in maniera chiara ed inequivocabile:
Riconosciamo la gravità estrema di queste irregolarità, delle loro cause e delle raccomandazioni per prevenirne il ripetersi emerse durante le indagini del Comitato. Non ci limiteremo a rivedere e modificare le operazioni di certificazione, ma effettueremo anche riforme radicali nella nostra cultura aziendale, dando massima priorità alla conformità per prevenire il verificarsi di eventi simili in futuro. Inoltre, ci impegneremo a livello aziendale per riconquistare la fiducia delle parti interessate.
Ce la faranno? Vedremo.
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