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Decreto piattaforme: rischio stop Ue per Uber e taxi digitali

Bruxelles esamina la bozza italiana che impone vincoli alle app di trasporto. Criticità su compatibilità con il diritto europeo e il Digital Services Act.

La bozza di decreto presentata dal Governo italiano alla Commissione europea potrebbe ostacolare in modo rilevante l’attività delle piattaforme digitali come Uber e Free Now, che intermediano tra domanda e offerta nel settore taxi e NCC.

Il provvedimento, attualmente in fase di notifica secondo la procedura TRIS prevista dalla Direttiva 2015/1535, prevede obblighi che vanno dalla registrazione presso il Centro Elaborazione Dati del MIT fino alla conservazione per un anno dei contratti di servizio, con l’intento di regolamentare in maniera più stringente l’intermediazione digitale nei trasporti urbani.

Le principali disposizioni del decreto

Il testo si applica a tutte le piattaforme che connettono utenti e vettori taxi o NCC. Tra i punti principali vi sono l’obbligo di verifica dei titoli abilitativi dei conducenti, la gestione dei turni taxi secondo l’assegnazione ufficiale, il divieto di mostrare in tempo reale la disponibilità dei mezzi e una serie di vincoli informativi verso gli utenti.

Le tariffe devono rispettare la normativa locale per i taxi, mentre per gli NCC è mantenuta la libertà tariffaria. Tutte le piattaforme, anche quelle con sede in altri Stati membri, dovranno adeguarsi a queste regole.

I rilievi della Commissione europea

Il contenuto della bozza ha attirato l’attenzione della Commissione europea che, come anticipato da AgendaDigitale, ha già trasmesso una serie di quesiti preliminari. Tra le osservazioni principali, l’applicazione extraterritoriale delle norme italiane a piattaforme con sede in altri Paesi Ue appare in contrasto con il principio del Paese d’origine sancito dalla Direttiva e-Commerce.

Inoltre, la Commissione ha chiesto chiarimenti su alcuni obblighi che sembrano contraddire il Digital Services Act, in particolare in merito alla sorveglianza e al rispetto delle norme da parte dei vettori, che trasformerebbero le piattaforme in soggetti esecutivi delle regole.

Il decreto ripropone, indirettamente, l’obbligo di rientro in rimessa per gli NCC, già ritenuto irragionevole dalla Corte costituzionale. La questione è ancora oggetto di esame da parte dei giudici, che si esprimeranno entro la fine dell’anno.

Il provvedimento si inserisce in un contesto dove le competenze in materia di trasporto pubblico non di linea sono attribuite alle Regioni, aprendo un ulteriore fronte di discussione sul piano costituzionale.

Un provvedimento a rischio impasse

Le criticità evidenziate, sia a livello europeo che interno, rendono incerto il futuro del decreto. È improbabile che Bruxelles approvi il testo senza modifiche, mentre a livello nazionale restano da chiarire gli effetti sul bilanciamento tra esigenze di regolazione e libertà d’impresa. Se non verranno introdotti correttivi in linea con il quadro normativo comunitario, il rischio concreto è che l’Italia debba rivedere profondamente l’impianto normativo proposto o accettare un suo ritiro.