La tensione è alle stelle per Volkswagen, che sta affrontando uno dei momenti più delicati della sua storia in Germania. Dopo settimane di trattative senza risultati concreti, un’ondata di scioperi ha paralizzato nove stabilimenti, incluso quello interamente dedicato ai veicoli elettrici. A Wolfsburg, oltre 20.000 operai hanno accolto il CEO Olivier Blume con fischi e proteste, segno evidente del malcontento dilagante.
Blume ha cercato di difendere i drastici provvedimenti annunciati, tra cui la chiusura di almeno tre fabbriche in Germania, il taglio del 10% degli stipendi e migliaia di licenziamenti. Secondo quanto riporta Automotive News, “Non operiamo in un mondo di fantasia,” ha detto Blume, “Stiamo prendendo decisioni in un ambiente in rapido cambiamento” ma le sue parole non hanno placato gli animi.
Nel frattempo, c’è da dire che Blume guadagna circa 10 milioni di euro all’anno, e pare che i tagli salariali non abbiano incluso il suo, contrariamente a quanto fatto da Makoto Uchida, ovvero il suo omologo in Nissan che si è dimezzato lo stipendio.
Crisi e concorrenza cinese
Volkswagen sta affrontando una competizione spietata dai marchi cinesi, soprattutto sul mercato europeo. A peggiorare la situazione, le difficoltà in Cina, da anni il principale mercato per VW. Secondo Blume, i costi della manodopera in Germania sono insostenibili, con salari medi nel settore automobilistico che raggiungono circa 33 euro l’ora, mentre in Cina variano tra 14 e 31 yuan (dai 2 ai 4 euro l’ora circa).
Le pressioni economiche stanno anche portando a un ripensamento dei processi produttivi. Volkswagen punta a ridurre i tempi di sviluppo dei modelli e a tagliare i costi, mantenendo competitività nei confronti di aziende come BYD, che stanno rapidamente conquistando spazio in Europa.