Le gigafactory cinesi in Europa stanno ricevendo miliardi di euro in aiuti pubblici, ma senza alcuna garanzia di trasferimento tecnologico all’industria europea. È quanto emerge da uno studio commissionato da Transport & Environment (T&E), che evidenzia una mancanza di regolamentazione sia a livello europeo che nazionale.
In particolare, i 900 milioni di euro di fondi pubblici concessi agli impianti di CATL in Ungheria e LG Energy Solution in Polonia non sono stati vincolati a nessuna condizione che favorisca l’industria locale. Secondo lo studio, il rischio è che l’Europa si limiti a fornire finanziamenti senza ottenere alcun beneficio strategico.
Violazioni ambientali e mancata tutela dei lavoratori
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Oltre alla questione tecnologica, il rapporto denuncia gravi violazioni ambientali nelle gigafactory finanziate con fondi pubblici.
Negli impianti di Ungheria e Polonia, sono stati segnalati superamenti dei limiti di inquinamento atmosferico per il NMP, una sostanza tossica usata nella produzione di batterie. Inoltre, in Ungheria ci sono criticità nella gestione delle acque, mentre il crescente consumo di gas naturale per alimentare gli impianti sta rallentando la transizione energetica del Paese.
Dal punto di vista sociale, lo studio evidenzia salari non adeguati e scarse tutele per i lavoratori, contravvenendo agli standard dell’Unione Europea.
Gigafactory cinesi in UE: niente know-how per l’industria locale
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Un altro problema sollevato dal rapporto è la mancanza di trasferimento tecnologico nelle partnership tra case automobilistiche europee e aziende cinesi.
L’impianto Volkswagen-Gotion in Germania, per esempio, ha ricevuto 1,1 miliardi di euro di investimenti, ma il ruolo di Volkswagen è marginale. Secondo gli esperti, la joint venture si limita a fornire batterie LFP (litio-ferro-fosfato) senza generare reali vantaggi industriali per la casa tedesca.
Situazione simile in Spagna, dove Stellantis ha stretto un accordo con CATL per la produzione di batterie, ricevendo quasi 300 milioni di euro di aiuti pubblici. Anche in questo caso, il rapporto denuncia l’assenza di condizioni per il trasferimento di competenze.
L’Europa rischia di diventare un semplice polo di assemblaggio
Attualmente, il 90% delle batterie per auto elettriche vendute in Europa è prodotto da aziende asiatiche. Inoltre, il 40% delle gigafactory annunciate nel continente è controllato da gruppi cinesi o sudcoreani.
Il pericolo, secondo T&E, è che l’Europa si limiti a diventare un polo di assemblaggio, dipendendo totalmente dalla tecnologia asiatica per uno dei settori strategici del futuro.
Esther Marchetti, Clean Transport Manager di T&E Italia, ha sottolineato la necessità di un intervento immediato da parte della Commissione Europea:
Le partnership con l’Asia sono state presentate come opportunità per recuperare il divario tecnologico con i produttori asiatici. Ma i fatti dimostrano che non stanno portando vantaggi concreti all’industria europea.
Gli Stati membri devono garantire che gli impianti finanziati con soldi pubblici rispettino standard ambientali e sociali. Inoltre, la Commissione Europea deve imporre condizioni precise sugli aiuti di Stato per ottenere un reale trasferimento di tecnologia.
T&E chiede che nel Piano d’Azione UE per l’Automotive, che sarà presentato il 5 marzo, vengano introdotte regole vincolanti per:
- Garantire che le aziende europee partecipino attivamente allo sviluppo tecnologico.
- Introdurre criteri di resilienza per l’accesso agli aiuti di Stato.
- Rafforzare le norme sull’impronta di carbonio delle batterie.
La produzione di batterie è cruciale per il futuro dell’auto elettrica
Oggi l’Europa deve definire una strategia chiara per evitare di dipendere completamente dalla Cina e dalla Corea del Sud.
Non è solo una questione industriale, ma anche geopolitica ed economica. Un intervento normativo forte potrebbe riequilibrare il mercato, rendendo le joint venture realmente vantaggiose per le aziende europee.
Se l’UE non agirà in fretta, il rischio è che i miliardi di euro investiti favoriscano solo le aziende asiatiche, lasciando l’Europa in una posizione di dipendenza strategica nel settore delle batterie.
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