Per Donald Trump è tutto semplice: Toyota invade gli USA, mentre Ford e General Motors sono tenute fuori dal Giappone. Per non parlare poi dell’Europa, dove i modelli americani “veri” arrivano solo da importatori paralleli.
Ma si tratta davvero di una questione di dazi? A quanto pare, secondo Reuters, il Giappone non applica dazi sull’importazione di automobili dal 1978, mentre gli Stati Uniti mantengono una tariffa del 2,5%. Eppure, nel 2024 GM ha venduto solo 1.000 auto in Giappone. Ford meno di 200. Possibile? Vediamo come stanno le cose.
Strade strette e gusti diversi

Il mercato giapponese, così come quello europeo, è difficile perché altamente esigente. I consumatori vogliono auto compatte, affidabili e poco assetate, in grado di affrontare strade strette e parcheggi ridotti.
Modelli americani come l’F-150, top seller negli USA, sono troppo grandi. Non è una “barriera”, è una questione di funzionalità. Le kei car, leggere e super tassate, rappresentano un terzo del mercato. Se Luca De Meo di Renault ne ha parlato come possibile chiave per l’industria automobilistica europea, c’è da dire che nessuna casa automobilistica statunitense ne ha in gamma neanche una.
Ma c’è altro. Le auto americane non sono percepite come prodotti di fascia alta. Marchi come Mercedes, BMW e Volkswagen dominano la fascia premium perché hanno saputo costruirsi un’immagine solida, affidabile e coerente con le aspettative locali.
Anche l’Europa dice “meh” alle auto americane

Anche in Europa, le difficoltà si ripetono, nonostante un contesto commerciale aperto. Chevrolet, un tempo presente in numerosi mercati del continente, è stata ritirata per decisione strategica di Detroit, mentre Opel, lo storico marchio tedesco di proprietà General Motors, è stato venduto nel 2017 al gruppo francese PSA, oggi parte di Stellantis.
Oggi, a rappresentare l’automobile americana in Europa restano Jeep, brand globalizzato e forte anche grazie alla gamma SUV, e una presenza di Ford, che però produce e sviluppa in larga parte modelli concepiti espressamente per il mercato europeo.
Eppure in altri settori gli USA hanno “vinto”
Uno degli esempi più emblematici che smentiscono la narrazione di mercati chiusi ai prodotti esteri è proprio l’iPhone.
L’iPhone ha saputo interpretare perfettamente le aspettative dei consumatori europei e giapponesi. Con un’interfaccia intuitiva, un design curato e un ecosistema ricco e stabile, il dispositivo Apple ha conquistato rapidamente la clientela, diventando lo smartphone più venduto.
Il successo dell’iPhone dimostra che i consumatori non rifiutano i prodotti stranieri a priori: li premiano quando rispondono davvero alle loro esigenze. Un risultato che non si ottiene con le scorciatoie, ma con tempo, ascolto e adattamento intelligente al contesto locale.
Il punto non è l’origine del prodotto, ma la sua capacità di soddisfare gusti, abitudini e aspettative locali. E se Apple, McDonald’s, Disney e TikTok ci riescono, è perché hanno studiato il mercato e si sono adattati.